Sabato 10 marzo 2018 il Teatro Grande Valdocco a Torino, XXIX Giornata Caritas dell’Arcidiocesi di Torino

 

Sabato 10 marzo 2018 presso il Teatro Grande Valdocco a Torino, dalle 8.30 alle 13, si è svolta la
XXIX Giornata Caritas “Sete di giustizia, fame di opportunità – per rendere protagonisti i giovani”.

«Se sarete quello che dovete essere, metterete fuoco su tutta la terra» (omelia alla S. Messa di chiusura della XV Giornata mondiale della gioventù, Tor Vergata, domenica 20 agosto 2000): è l’invito che Papa Giovanni Paolo II rivolse ai giovani nel Giubileo del 2000 e che facciamo risuonare anche oggi, parlando non tanto dei giovani e sui giovani, in rapporto al tema della giustizia e delle opportunità, ma per mettere subito al centro del mio intervento un approccio positivo e incoraggiante verso i giovani, considerati soggetti e non solo destinatari delle iniziative delle nostre comunità e di loro educatori.

«Fino a poco tempo fa soffrivo tanto per questa mia afflizione corporale, ricordi Gesù? Ma ora sento che in me qualcosa è cambiato. La mia sofferenza si è come attenuata; soffro ancora, è vero, ma con amore, con quell’amore che solo tu hai saputo inculcare in me».

Sono le parole scritte nel 1965 da una piccola donna che tutti, a Torino, hanno conosciuto come l’angelo dei barboni. In modo quasi sconosciuto ai più il suo cuore era uno scrigno di tesori che la mettevano in contatto con il cielo. La vita non era stata affatto generosa con lei dandole il peso di una grave scogliosi che l’11 marzo del 2008 – dieci anni fa – l’ha riportata alla casa del Padre. Portava dentro di se un grande segreto che solo ora possiamo scoprire totalmente. Avrebbe potuto ribellarsi, ma non lo fece. Avrebbe potuto chiudersi pensando a se stessa, ma non lo volle fare. Avrebbe potuto farsi servire, ma invece si fece serva dei più poveri.

Seguono le singolari storie di Romeo, Andrea, Carlo, Angelo, Eddy, Maria Clara e Sandra, contrassegnate da colpi di scena, sogni e ripensamenti, consentono di avvicinare il fenomeno dei giovani che non lavorano e non studiano…

 

 

“Futuro anteriore”
Rapporto 2017 su povertà giovanili ed esclusione sociale in Italia
Video a cura di Caritas Italiana

Giovani: educare, educarsi, lasciarsi educare
di don Luca Peyron direttore pastorale universitaria Piemonte e Valle d’Aosta

I giovani oggi non sono annoiati o pigri o inetti. Sono soli. Sono fermi, non volano né alto né basso perché non c’è nessuno nella torre di controllo a dare loro il segnale di via, a tracciare per loro e con loro una rotta. Siamo qui insieme per prenderne coscienza e per decidere di salire quella scala ed entrare in quella torre, comunicare con loro e dire ok, go. Decolla.

La risposta concreta della Chiesa alla disoccupazione giovanile si chiama Progetto Policoro. Non è un sostegno economico alle aziende, ma orientamento e formazione mirati. La Cei, la Conferenza episcopale italiana, grazie all’8 per mille e a una filiera collaudata da anni li aiuta in questo: ritrovare e ridare speranza.

Gli obiettivi:

•Farsi carico come Chiesa del problema della disoccupazione giovanile
•Promuovere una cultura del lavoro alla luce del Vangelo
•Costruire reti interne ed esterne alla Chiesa

Conclude la Giornata dedicata alla “Sete di Giustizia” il Servizio Civile Nazionale

 

Sabato 10 marzo 2018 il Teatro Grande Valdocco a Torino, XXIX Giornata Caritas dell’Arcidiocesi di Torino

 

Sabato 10 marzo 2018 presso il Teatro Grande Valdocco a Torino, dalle 8.30 alle 13, si è svolta la
XXIX Giornata Caritas “Sete di giustizia, fame di opportunità – per rendere protagonisti i giovani”.

«Se sarete quello che dovete essere, metterete fuoco su tutta la terra» (omelia alla S. Messa di chiusura della XV Giornata mondiale della gioventù, Tor Vergata, domenica 20 agosto 2000): è l’invito che Papa Giovanni Paolo II rivolse ai giovani nel Giubileo del 2000 e che facciamo risuonare anche oggi, parlando non tanto dei giovani e sui giovani, in rapporto al tema della giustizia e delle opportunità, ma per mettere subito al centro del mio intervento un approccio positivo e incoraggiante verso i giovani, considerati soggetti e non solo destinatari delle iniziative delle nostre comunità e di loro educatori.

«Fino a poco tempo fa soffrivo tanto per questa mia afflizione corporale, ricordi Gesù? Ma ora sento che in me qualcosa è cambiato. La mia sofferenza si è come attenuata; soffro ancora, è vero, ma con amore, con quell’amore che solo tu hai saputo inculcare in me».

Sono le parole scritte nel 1965 da una piccola donna che tutti, a Torino, hanno conosciuto come l’angelo dei barboni. In modo quasi sconosciuto ai più il suo cuore era uno scrigno di tesori che la mettevano in contatto con il cielo. La vita non era stata affatto generosa con lei dandole il peso di una grave scogliosi che l’11 marzo del 2008 – dieci anni fa – l’ha riportata alla casa del Padre. Portava dentro di se un grande segreto che solo ora possiamo scoprire totalmente. Avrebbe potuto ribellarsi, ma non lo fece. Avrebbe potuto chiudersi pensando a se stessa, ma non lo volle fare. Avrebbe potuto farsi servire, ma invece si fece serva dei più poveri.

Seguono le singolari storie di Romeo, Andrea, Carlo, Angelo, Eddy, Maria Clara e Sandra, contrassegnate da colpi di scena, sogni e ripensamenti, consentono di avvicinare il fenomeno dei giovani che non lavorano e non studiano…

 

 

“Futuro anteriore”
Rapporto 2017 su povertà giovanili ed esclusione sociale in Italia
Video a cura di Caritas Italiana

Giovani: educare, educarsi, lasciarsi educare
di don Luca Peyron direttore pastorale universitaria Piemonte e Valle d’Aosta

I giovani oggi non sono annoiati o pigri o inetti. Sono soli. Sono fermi, non volano né alto né basso perché non c’è nessuno nella torre di controllo a dare loro il segnale di via, a tracciare per loro e con loro una rotta. Siamo qui insieme per prenderne coscienza e per decidere di salire quella scala ed entrare in quella torre, comunicare con loro e dire ok, go. Decolla.

La risposta concreta della Chiesa alla disoccupazione giovanile si chiama Progetto Policoro. Non è un sostegno economico alle aziende, ma orientamento e formazione mirati. La Cei, la Conferenza episcopale italiana, grazie all’8 per mille e a una filiera collaudata da anni li aiuta in questo: ritrovare e ridare speranza.

Gli obiettivi:

•Farsi carico come Chiesa del problema della disoccupazione giovanile
•Promuovere una cultura del lavoro alla luce del Vangelo
•Costruire reti interne ed esterne alla Chiesa

Conclude la Giornata dedicata alla “Sete di Giustizia” il Servizio Civile Nazionale

 

I MIEI PAPI del Cardinal Tarcisio Bertone: Mercoledì 14 marzo 2018 a Valdocco, ore 17

Gli incontri, i ricordi, i segreti di un testimone del nostro tempo

“I MIEI PAPI” di Tarcisio Bertone – Editrice Elledici –

Mercoledì 14 marzo 2018 ore 17:00 Aula Sangalli – Valdocco

Il Cardinale Tarcisio Bertone ha vissuto i momenti salienti della storia contemporanea del Vaticano ed è oggi testimone del cuore della cattolicità.

Questo volume raccoglie un percorso che comprende sette incontri con i sette grandi Pontefici (Pio XII, Giovanni XIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco) che hanno costruito, negli ultimi settant’anni, la Chiesa che oggi viviamo.

Il volume si avvale della Prefazione del Cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura.

Numerosi sono i richiami ai rapporti tra i Papi e il mondo salesiano.

Il libro – come scrive nella introduzione il Cardinale Ravasi – «è proprio una storia di incontri, un “percorso concreto”, come lo definisce il suo stesso autore che qui testimonia “il suo desiderio di incontrare i Papi”. L’itinerario che propone comprende una collana settenaria di incontri che partono da lontano e progressivamente si avvicinano fino al punto di trasformare l’incontro in un abbraccio».

L’avvincente lettura di questo libro di memorie, ricco di testimonianze inedite, permetterà di conoscere meglio la figura di questo Cardinale, ex Segretario di Stato del Vaticano, a contatto con i “suoi” Papi.

Il libro verrà presentato Mercoledì 14 marzo 2018, alle ore 17, presso la Sala Sangalli Valdocco, Via Maria Ausiliatrice, 32 a Torino, alla presenza dell’autore.

Sua Eminenza risponderà alle domande del giornalista Domenico Agasso jr. de La Stampa – Vatican Insider.

 

I MIEI PAPI del Cardinal Tarcisio Bertone: Mercoledì 14 marzo 2018 a Valdocco, ore 17

Gli incontri, i ricordi, i segreti di un testimone del nostro tempo

“I MIEI PAPI” di Tarcisio Bertone – Editrice Elledici –

Mercoledì 14 marzo 2018 ore 17:00 Aula Sangalli – Valdocco

Il Cardinale Tarcisio Bertone ha vissuto i momenti salienti della storia contemporanea del Vaticano ed è oggi testimone del cuore della cattolicità.

Questo volume raccoglie un percorso che comprende sette incontri con i sette grandi Pontefici (Pio XII, Giovanni XIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco) che hanno costruito, negli ultimi settant’anni, la Chiesa che oggi viviamo.

Il volume si avvale della Prefazione del Cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura.

Numerosi sono i richiami ai rapporti tra i Papi e il mondo salesiano.

Il libro – come scrive nella introduzione il Cardinale Ravasi – «è proprio una storia di incontri, un “percorso concreto”, come lo definisce il suo stesso autore che qui testimonia “il suo desiderio di incontrare i Papi”. L’itinerario che propone comprende una collana settenaria di incontri che partono da lontano e progressivamente si avvicinano fino al punto di trasformare l’incontro in un abbraccio».

L’avvincente lettura di questo libro di memorie, ricco di testimonianze inedite, permetterà di conoscere meglio la figura di questo Cardinale, ex Segretario di Stato del Vaticano, a contatto con i “suoi” Papi.

Il libro verrà presentato Mercoledì 14 marzo 2018, alle ore 17, presso la Sala Sangalli Valdocco, Via Maria Ausiliatrice, 32 a Torino, alla presenza dell’autore.

Sua Eminenza risponderà alle domande del giornalista Domenico Agasso jr. de La Stampa – Vatican Insider.

 

Il Cardinal Gualtiero Bassetti in visita a Valdocco in occasione del 150° di consacrazione della Basilica di Maria Ausiliatrice.

Si propongono gli approfondimenti di racconto delle redazioni de “La Voce E il Tempo”, “Avvenire” e il TGR – Piemonte in occasione della visita del presidente della Cei “a casa di Don Bosco”.

Articolo a cura di Marina Lomunno

 

Sono stati i ragazzi e le ragazze del primo oratorio fondato da Don Bosco a Valdocco ad accogliere nel pomeriggio di venerdì scorso il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, invitato nella casa madre dei salesiani per coronare le celebrazioni del 150° di consacrazione della Basilica di Maria Ausiliatrice. Il cardinale appena giunto nel cortile della Basilica è stato salutato con un battimani e subito si è seduto su una gradinata in mezzo ai giovani improvvisando una catechesi. «Don Bosco vi ha insegnato la lingua della Pentecoste, ha parlato la lingua dell’amore e tutti l’hanno capito. Preghiamo perché in tutti gli ora- tori del mondo si parli questa lingua». I ragazzi hanno consegnano al cardinale la felpa e la maglietta dell’oratorio Valdocco. «Le indosserò e penserò a voi, speriamo mi vadano bene», ha scherzato. A seguire la Messa con la famiglia salesiana nella Basilica voluta da Don Bosco. «Un albero grande è nato dal cortile di Valdocco e da questa Basilica – ha sottolineato il presidente della Cei nell’omelia. I figli e le figlie di Don Bosco sono accanto ai giovani di tutti e cinque i continenti, in 130 Paesi del mondo. Anche oggi, come nella Torino dell’Ottocento, ci sono moltitudini di giovani poveri o abbandonati a se stessi nel loro mondo cybernetico, fuori della realtà. Ecco perché il Papa ha indetto un Sinodo sui giovani: tutta la Chiesa è chiamata ad avvicinarsi a questo mondo».

In serata la Basilica si è nuovamente gremita per ascoltare la Lectio del cardinale, accolto dall’arcivescovo di Torino, Cesare Nosiglia, dall’emerito, il cardinale Severino Poletto, dall’ispettore dei salesiani per il Piemonte e la Valle d’Aosta, don Enrico Stasi, e dal rettore della Basilica, don Cristian Besso.

Nella meditazione sul tema “La Chiesa in Italia e il cammino proposto da papa Francesco”, il presidente della Cei ha messo a confronto Don Bosco e papa Francesco che «hanno avviato processi, più che occupare spazi, dando nuovo impulso alla Chiesa evangelizzatrice». «Don Bosco – ha sottolineato Bassetti – diceva che con le opere di carità ci chiudiamo le porte dell’inferno e ci apriamo il paradiso. Papa Francesco ha detto che essere artigiani della carità è come investire nel Paradiso e che i poveri sono il nostro passaporto per il Paradiso. Due personalità differenti, espressione di due epoche storiche, accomunati dalla stessa fede, dallo stesso amore per i poveri e anche dalle comuni origini piemontesi».

Al seguente link, è possibile accedere al servizio giornalistico realizzato da Caterina Cannavà.

 

Ecco l’articolo de La Voce e Il Tempo che, oltre ad una dettagliata descrizione dell’intera visita, pubblica integralmente la Lectio magistralis del cardinale Bassetti:

Bassetti, Don Bosco e Papa Francesco innamorati dei poveri

Torino – Il presidente della Cei, nell’ambito della visita a Valdocco nel 150° anniversario della consacrazione della basilica salesiana, il 9 marzo ha tenuto una lectio magistralis su «La Chiesa in Italia e il cammino proposto da Papa Francesco».

«Don  Bosco  diceva che ‘con le opere di carità ci chiudiamo le porte dell’inferno e ci apriamo il paradiso’. Papa Francesco ha detto che “essere artigiani della carità è come investire nel paradiso” e che i poveri sono il nostro “passaporto per il paradiso”. Giovanni Bosco e il Papa: due personalità differenti, espressione di due epoche storiche lontane, accomunati dalla stessa fede, dallo stesso amore per i poveri e anche dalle comuni origini piemontesi». Così il card. Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, ha iniziato la sua Lectio magistralis… continua a leggere 

 

A margine della visita a Valdocco, la giornalista M. Lomunno ha rivolto al presidente della CEI, alcune domande, ecco l’intervista che verrà pubblicata sulla versione cartacea nell’edizione di Domenica 18 Marzo 2018:

Il cardinale Bassetti a Torino: «Ricucire l’Italia»

Si intitolava «La Chiesa in Italia e il cammino proposto da Francesco» la Lectio magistralische il card. Gualtiero Bassetti, Presidente della Cei ha pronunciato nella serata di venerdì 9 marzo, a Torino, in occasione del 150° delle celebrazioni della consacrazione della Basilica di Maria Ausiliatrice. La presenza del Presidente dei Vescovi italiani ha sottolineato la riconoscenza della Chiesa italiana per don Bosco e per i suoi figli che ne continuano l’opera.  A margine dell’incontro abbiamo intervistato il cardinale sull’attualità dei santi sociali torinesi.

Eminenza, la sua Presenza a Torino nella Basilica di Maria Ausiliatrice, è stata l’occasione per visitare i luoghi salesiani: Valdocco è crocevia della santità sociale torinese. Qual è secondo lei l’attualità dei nostri santi sociali in un momento difficile per la nostra città che, come nell’Ottocento dove una grande fetta della popolazione viveva nell’indigenza, il 40% dei giovani è disoccupato e le periferie urbane soffrono le ricadute della crisi economica?

I santi sociali torinesi sono straordinariamente attuali. E lo sono per almeno due motivi: prima di tutto perché ci ricordano con forza che la Chiesa è da sempre presente nelle zone di indigenza e di povertà. Non è un’invenzione della modernità: cioè di una stagione che sembrerebbe diluire il cristianesimo nella solidarietà. Non si tratta assolutamente di questo: ma, al contrario, si tratta di rendere autentico il mistero dell’incarnazione e la croce gloriosa di Cristo. Laddove c’è una persona in difficoltà, da sempre, la Chiesa si china a curare e a fasciare le ferite, perché in quelle ferite sgorga il sangue di Gesù sulla Croce.

In secondo luogo, perché i santi sociali torinesi concretizzano le parole dell’apostolo Giovanni quando dice che noi siamo chiamati ad amare non solo «a parole» «ma con i fatti e nella verità». Queste parole che hanno anche fatto da incipit al messaggio di Papa Francesco per la Prima giornata mondiale dei poveri sono molto importanti perché ci chiamano ad agire nella storia con azioni concrete. Come si può ben capire, anche in questo richiamo alla questione sociale, c’è un filo diretto e continuo nel magistero della Chiesa. Un magistero che si rinnova sempre, ma che, al tempo stesso, è fedele alla tradizione. I santi sociali torinesi sono per noi dei modelli di vita a cui dobbiamo ispirarci, non per ripetere pedissequamente il passato, ma per costruire il futuro.

Durante la sua Lectio magistralis nella Basilica di Maria Ausiliatrice lei ha introdotto la sua riflessione indicando come due personalità così diverse, don Bosco e Papa Francesco, siano accomunate dalla scelta preferenziale dei poveri e dei giovani. Ha poi citato una frase di Papa Francesco per sintetizzare il suo pontificato: «Noi dobbiamo avviare processi, più che occupare spazi». Un programma che ha molte similitudini con i santi sociali come Giovanni Bosco i cui frutti dei processi da loro avviati nell’Ottocento sono ancora il motore trainante della nostra diocesi e non solo…     

Questo richiamo ai processi evocato da Papa Francesco è di fondamentale importanza. Non solo perché rimanda ad una fermissima fede nell’azione di Dio che ci sovrasta sempre, ma perché prende di petto un problema cruciale in ogni epoca storica: il rapporto degli uomini con il potere. Francesco con quella frase ci rammenta che la salvezza non viene dalla potenza degli uomini, ma solamente dal Padre, che è l’unico vero Signore della Storia. Se noi riconosciamo con sincerità questa verità e ci lasciamo guidare dall’ispirazione divina possiamo entrare in questa dimensione di totale affidamento e in definitiva possiamo cambiare il nostro stile di vita. Una vita troppo spesso soffocata dalle nostre ansie da prestazioni e dalle nostre ambizioni di successo e di dominio. In due parole, una vita che troppe volte è caratterizzata dalla mondanità e dal clericalismo. Due «piaghe» su cui Francesco si è soffermato molte volte e sempre con parole chiarissime. Dobbiamo convincerci, una volta per tutte, che nessun uomo è indispensabile e che i progetti pastorali se fatti senza questo spirito di abbandono nelle mani di Dio, inaridiscono e producono solo strutture burocratiche di dubbia utilità.

Don Bosco ha dedicato tutta la sua vita a dare speranza ai giovani, soprattutto quelli più «discoli e pericolanti». Tra i problemi dell’Italia c’è quello dei neet, giovani dai 15 ai 29 anni che non studiano né lavorano. Torino e il Piemonte purtroppo hanno anche questo primato, tanto che nostri Vescovi hanno lanciato recentemente un appello alle istituzioni per mettersi in rete e affrontare questo nodo fondamentale per dare futuro al Paese, studiando progetti per «stanare» i neet che stanno diventando un allarme sociale. Cosa è successo in questi anni se migliaia di giovani rifiutano di progettare il proprio futuro e come se ne può uscire?

Questo fenomeno a mio avviso ha una spiegazione duplice. Da un lato rappresenta il trionfo del nichilismo del mondo odierno. Un vuoto di valori e prospettive che nell’immediato fa vivere il ragazzo solo per se stesso e poi, nel giro di breve tempo, finisce per fargli perdere la speranza e la visione del futuro. Dall’altro lato, invece, certifica uno dei più grandi drammi della società italiana: una società bloccata, vecchia, immobile, fatta di oligarchie e pastoie culturali che bloccano ogni prospettiva di crescita. Molti giovani si perdono in questa palude sociale dove tutto sembra stagnante, opaco, poco attraente e senza futuro. Penso però che al di là delle difficoltà che indubbiamente esistono, noi adulti abbiamo il compito, anzi, la missione di prendere per mano questi ragazzi e di dirgli: «I care». La tua persona mi interessa. Ho a cuore la tua vita e la tua dignità. E poi aggiungere: «tu vali». Tu vali così come sei. Con i tuoi limiti e le tue virtù. Tu sei una perla preziosa agli occhi di Dio che ti ama infinitamente. E inoltre sei un talento prezioso per la comunità, per il Paese e per la Chiesa. Ecco una parola che a mio avviso va riscoperta: «talento». Ogni giovane è un talento da valorizzare e non abbandonare mai.

Lei è Arcivescovo di Perugia Città della Pieve: un suo predecessore fu il cardinale Pecci, quel Leone XIII che ha posto le basi della moderna dottrina sociale della Chiesa e il suo motto episcopale è «In charitate fundati», «fondati nella carità» che, richiamando la Lettera agli Efesini di san Paolo, anticipa e conferma la scelta dei poveri a cui da cinque anni ci indica Papa Francesco. Uno stile di episcopato ben preciso che sicuramente permeerà la sua Presidenza dei Vescovi italiani. Quali sono le urgenze che la Chiesa italiana indica al nuovo Governo dopo le elezioni del 4 marzo scorso per affrontare la crisi sociale che sta attraversando il nostro Paese?

Lo abbiamo sempre detto: i poveri, le famiglie e il lavoro. In definitiva, far ripartire l’Italia tutta intera, senza egoismi sociali e culturali. Per usare un’espressione che ho utilizzato spesso è necessario «ricucire l’Italia». Occorre rammendare un Paese in difficoltà e troppo spesso in crisi d’identità. È necessario dunque fornire una speranza e una strada certa all’Italia senza, però, soffiare sul fuoco delle divisioni e soprattutto senza cercare nemici immaginari o capri espiatori nei diversi o negli stranieri. Dobbiamo tutti quanti, ognuno secondo le sue capacità o disponibilità, assumerci delle responsabilità con un unico obiettivo: dare una mano allo sviluppo umano di questo Paese, alla luce della sua storia ricca e complessa. E anche, perché no, alla luce della dottrina sociale della Chiesa che è un patrimonio prezioso a cui attingere e a disposizione di tutti.

(Articolo tratto da La Voce e  Il Tempo,
clicca qui per accedere alla pagina online)

 

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Il Cardinal Gualtiero Bassetti in visita a Valdocco in occasione del 150° di consacrazione della Basilica di Maria Ausiliatrice.

Si propongono gli approfondimenti di racconto delle redazioni de “La Voce E il Tempo”, “Avvenire” e il TGR – Piemonte in occasione della visita del presidente della Cei “a casa di Don Bosco”.

Articolo a cura di Marina Lomunno

 

Sono stati i ragazzi e le ragazze del primo oratorio fondato da Don Bosco a Valdocco ad accogliere nel pomeriggio di venerdì scorso il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, invitato nella casa madre dei salesiani per coronare le celebrazioni del 150° di consacrazione della Basilica di Maria Ausiliatrice. Il cardinale appena giunto nel cortile della Basilica è stato salutato con un battimani e subito si è seduto su una gradinata in mezzo ai giovani improvvisando una catechesi. «Don Bosco vi ha insegnato la lingua della Pentecoste, ha parlato la lingua dell’amore e tutti l’hanno capito. Preghiamo perché in tutti gli ora- tori del mondo si parli questa lingua». I ragazzi hanno consegnano al cardinale la felpa e la maglietta dell’oratorio Valdocco. «Le indosserò e penserò a voi, speriamo mi vadano bene», ha scherzato. A seguire la Messa con la famiglia salesiana nella Basilica voluta da Don Bosco. «Un albero grande è nato dal cortile di Valdocco e da questa Basilica – ha sottolineato il presidente della Cei nell’omelia. I figli e le figlie di Don Bosco sono accanto ai giovani di tutti e cinque i continenti, in 130 Paesi del mondo. Anche oggi, come nella Torino dell’Ottocento, ci sono moltitudini di giovani poveri o abbandonati a se stessi nel loro mondo cybernetico, fuori della realtà. Ecco perché il Papa ha indetto un Sinodo sui giovani: tutta la Chiesa è chiamata ad avvicinarsi a questo mondo».

In serata la Basilica si è nuovamente gremita per ascoltare la Lectio del cardinale, accolto dall’arcivescovo di Torino, Cesare Nosiglia, dall’emerito, il cardinale Severino Poletto, dall’ispettore dei salesiani per il Piemonte e la Valle d’Aosta, don Enrico Stasi, e dal rettore della Basilica, don Cristian Besso.

Nella meditazione sul tema “La Chiesa in Italia e il cammino proposto da papa Francesco”, il presidente della Cei ha messo a confronto Don Bosco e papa Francesco che «hanno avviato processi, più che occupare spazi, dando nuovo impulso alla Chiesa evangelizzatrice». «Don Bosco – ha sottolineato Bassetti – diceva che con le opere di carità ci chiudiamo le porte dell’inferno e ci apriamo il paradiso. Papa Francesco ha detto che essere artigiani della carità è come investire nel Paradiso e che i poveri sono il nostro passaporto per il Paradiso. Due personalità differenti, espressione di due epoche storiche, accomunati dalla stessa fede, dallo stesso amore per i poveri e anche dalle comuni origini piemontesi».

Al seguente link, è possibile accedere al servizio giornalistico realizzato da Caterina Cannavà.

 

Ecco l’articolo de La Voce e Il Tempo che, oltre ad una dettagliata descrizione dell’intera visita, pubblica integralmente la Lectio magistralis del cardinale Bassetti:

Bassetti, Don Bosco e Papa Francesco innamorati dei poveri

Torino – Il presidente della Cei, nell’ambito della visita a Valdocco nel 150° anniversario della consacrazione della basilica salesiana, il 9 marzo ha tenuto una lectio magistralis su «La Chiesa in Italia e il cammino proposto da Papa Francesco».

«Don  Bosco  diceva che ‘con le opere di carità ci chiudiamo le porte dell’inferno e ci apriamo il paradiso’. Papa Francesco ha detto che “essere artigiani della carità è come investire nel paradiso” e che i poveri sono il nostro “passaporto per il paradiso”. Giovanni Bosco e il Papa: due personalità differenti, espressione di due epoche storiche lontane, accomunati dalla stessa fede, dallo stesso amore per i poveri e anche dalle comuni origini piemontesi». Così il card. Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, ha iniziato la sua Lectio magistralis… continua a leggere 

 

A margine della visita a Valdocco, la giornalista M. Lomunno ha rivolto al presidente della CEI, alcune domande, ecco l’intervista che verrà pubblicata sulla versione cartacea nell’edizione di Domenica 18 Marzo 2018:

Il cardinale Bassetti a Torino: «Ricucire l’Italia»

Si intitolava «La Chiesa in Italia e il cammino proposto da Francesco» la Lectio magistralische il card. Gualtiero Bassetti, Presidente della Cei ha pronunciato nella serata di venerdì 9 marzo, a Torino, in occasione del 150° delle celebrazioni della consacrazione della Basilica di Maria Ausiliatrice. La presenza del Presidente dei Vescovi italiani ha sottolineato la riconoscenza della Chiesa italiana per don Bosco e per i suoi figli che ne continuano l’opera.  A margine dell’incontro abbiamo intervistato il cardinale sull’attualità dei santi sociali torinesi.

Eminenza, la sua Presenza a Torino nella Basilica di Maria Ausiliatrice, è stata l’occasione per visitare i luoghi salesiani: Valdocco è crocevia della santità sociale torinese. Qual è secondo lei l’attualità dei nostri santi sociali in un momento difficile per la nostra città che, come nell’Ottocento dove una grande fetta della popolazione viveva nell’indigenza, il 40% dei giovani è disoccupato e le periferie urbane soffrono le ricadute della crisi economica?

I santi sociali torinesi sono straordinariamente attuali. E lo sono per almeno due motivi: prima di tutto perché ci ricordano con forza che la Chiesa è da sempre presente nelle zone di indigenza e di povertà. Non è un’invenzione della modernità: cioè di una stagione che sembrerebbe diluire il cristianesimo nella solidarietà. Non si tratta assolutamente di questo: ma, al contrario, si tratta di rendere autentico il mistero dell’incarnazione e la croce gloriosa di Cristo. Laddove c’è una persona in difficoltà, da sempre, la Chiesa si china a curare e a fasciare le ferite, perché in quelle ferite sgorga il sangue di Gesù sulla Croce.

In secondo luogo, perché i santi sociali torinesi concretizzano le parole dell’apostolo Giovanni quando dice che noi siamo chiamati ad amare non solo «a parole» «ma con i fatti e nella verità». Queste parole che hanno anche fatto da incipit al messaggio di Papa Francesco per la Prima giornata mondiale dei poveri sono molto importanti perché ci chiamano ad agire nella storia con azioni concrete. Come si può ben capire, anche in questo richiamo alla questione sociale, c’è un filo diretto e continuo nel magistero della Chiesa. Un magistero che si rinnova sempre, ma che, al tempo stesso, è fedele alla tradizione. I santi sociali torinesi sono per noi dei modelli di vita a cui dobbiamo ispirarci, non per ripetere pedissequamente il passato, ma per costruire il futuro.

Durante la sua Lectio magistralis nella Basilica di Maria Ausiliatrice lei ha introdotto la sua riflessione indicando come due personalità così diverse, don Bosco e Papa Francesco, siano accomunate dalla scelta preferenziale dei poveri e dei giovani. Ha poi citato una frase di Papa Francesco per sintetizzare il suo pontificato: «Noi dobbiamo avviare processi, più che occupare spazi». Un programma che ha molte similitudini con i santi sociali come Giovanni Bosco i cui frutti dei processi da loro avviati nell’Ottocento sono ancora il motore trainante della nostra diocesi e non solo…     

Questo richiamo ai processi evocato da Papa Francesco è di fondamentale importanza. Non solo perché rimanda ad una fermissima fede nell’azione di Dio che ci sovrasta sempre, ma perché prende di petto un problema cruciale in ogni epoca storica: il rapporto degli uomini con il potere. Francesco con quella frase ci rammenta che la salvezza non viene dalla potenza degli uomini, ma solamente dal Padre, che è l’unico vero Signore della Storia. Se noi riconosciamo con sincerità questa verità e ci lasciamo guidare dall’ispirazione divina possiamo entrare in questa dimensione di totale affidamento e in definitiva possiamo cambiare il nostro stile di vita. Una vita troppo spesso soffocata dalle nostre ansie da prestazioni e dalle nostre ambizioni di successo e di dominio. In due parole, una vita che troppe volte è caratterizzata dalla mondanità e dal clericalismo. Due «piaghe» su cui Francesco si è soffermato molte volte e sempre con parole chiarissime. Dobbiamo convincerci, una volta per tutte, che nessun uomo è indispensabile e che i progetti pastorali se fatti senza questo spirito di abbandono nelle mani di Dio, inaridiscono e producono solo strutture burocratiche di dubbia utilità.

Don Bosco ha dedicato tutta la sua vita a dare speranza ai giovani, soprattutto quelli più «discoli e pericolanti». Tra i problemi dell’Italia c’è quello dei neet, giovani dai 15 ai 29 anni che non studiano né lavorano. Torino e il Piemonte purtroppo hanno anche questo primato, tanto che nostri Vescovi hanno lanciato recentemente un appello alle istituzioni per mettersi in rete e affrontare questo nodo fondamentale per dare futuro al Paese, studiando progetti per «stanare» i neet che stanno diventando un allarme sociale. Cosa è successo in questi anni se migliaia di giovani rifiutano di progettare il proprio futuro e come se ne può uscire?

Questo fenomeno a mio avviso ha una spiegazione duplice. Da un lato rappresenta il trionfo del nichilismo del mondo odierno. Un vuoto di valori e prospettive che nell’immediato fa vivere il ragazzo solo per se stesso e poi, nel giro di breve tempo, finisce per fargli perdere la speranza e la visione del futuro. Dall’altro lato, invece, certifica uno dei più grandi drammi della società italiana: una società bloccata, vecchia, immobile, fatta di oligarchie e pastoie culturali che bloccano ogni prospettiva di crescita. Molti giovani si perdono in questa palude sociale dove tutto sembra stagnante, opaco, poco attraente e senza futuro. Penso però che al di là delle difficoltà che indubbiamente esistono, noi adulti abbiamo il compito, anzi, la missione di prendere per mano questi ragazzi e di dirgli: «I care». La tua persona mi interessa. Ho a cuore la tua vita e la tua dignità. E poi aggiungere: «tu vali». Tu vali così come sei. Con i tuoi limiti e le tue virtù. Tu sei una perla preziosa agli occhi di Dio che ti ama infinitamente. E inoltre sei un talento prezioso per la comunità, per il Paese e per la Chiesa. Ecco una parola che a mio avviso va riscoperta: «talento». Ogni giovane è un talento da valorizzare e non abbandonare mai.

Lei è Arcivescovo di Perugia Città della Pieve: un suo predecessore fu il cardinale Pecci, quel Leone XIII che ha posto le basi della moderna dottrina sociale della Chiesa e il suo motto episcopale è «In charitate fundati», «fondati nella carità» che, richiamando la Lettera agli Efesini di san Paolo, anticipa e conferma la scelta dei poveri a cui da cinque anni ci indica Papa Francesco. Uno stile di episcopato ben preciso che sicuramente permeerà la sua Presidenza dei Vescovi italiani. Quali sono le urgenze che la Chiesa italiana indica al nuovo Governo dopo le elezioni del 4 marzo scorso per affrontare la crisi sociale che sta attraversando il nostro Paese?

Lo abbiamo sempre detto: i poveri, le famiglie e il lavoro. In definitiva, far ripartire l’Italia tutta intera, senza egoismi sociali e culturali. Per usare un’espressione che ho utilizzato spesso è necessario «ricucire l’Italia». Occorre rammendare un Paese in difficoltà e troppo spesso in crisi d’identità. È necessario dunque fornire una speranza e una strada certa all’Italia senza, però, soffiare sul fuoco delle divisioni e soprattutto senza cercare nemici immaginari o capri espiatori nei diversi o negli stranieri. Dobbiamo tutti quanti, ognuno secondo le sue capacità o disponibilità, assumerci delle responsabilità con un unico obiettivo: dare una mano allo sviluppo umano di questo Paese, alla luce della sua storia ricca e complessa. E anche, perché no, alla luce della dottrina sociale della Chiesa che è un patrimonio prezioso a cui attingere e a disposizione di tutti.

(Articolo tratto da La Voce e  Il Tempo,
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