Casa e Cappella Pinardi
Approfondimenti
Approfondimenti
Quando don Bosco vi entrò per la prima volta era solo una povera tettoia, bassa, appoggiata al lato nord della casa Pinardi. Era una vera “meschinità”, ricorderà don Bosco, ma finalmente aveva trovato una casa.
Entrando nella cappella, colpisce, sulla parete di fondo, l’affresco della Resurrezione, che ricorda la Pasqua 1846, giorno in cui don Bosco inaugurò l’antica cappella Pinardi.
Sulla destra la statua di Maria Consolatrice, che tante volte raccolse le lacrime di don Bosco e dei suoi ragazzi. Uscendo dalla Cappella Pinardi, si incontra una minuscola sacrestia, dove don Bosco collocò il primo laboratorio dei calzolai.
La tettoia Pinardi fu usata come cappella per sei anni, dopodiché venne adibita a sala di studio e di ricreazione e anche a dormitorio fino al 1856, quando la si demolì insieme a casa Pinardi.
Sull’area occupata dall’antica chiesetta venne ricavato un vano adibito a refettorio per don Bosco e i primi salesiani fino al 1927. In quell’anno don Filippo Rinaldi volle che l’ambiente fosse trasformato in cappella, a ricordo della primitiva chiesetta dell’Oratorio.
In questa chiesa i ragazzi di don Bosco ebbero la fortuna di ascoltare il teologo Giovanni Battista Borel, zelantissimo sacerdote e amico fedele di don Bosco, fu insigne Cooperatore e Benefattore del nascente Oratorio. Egli, che vedeva crescere ogni domenica le falangi giovanili nelle adiacenze di casa Pinardi, fu il primo ad approvare il progetto della fondazione del secondo Oratorio di San Luigi a Porta Nuova, e fu pure il primo ad avere le intime confidenze di don Bosco sull’avvenire dell’opera sua.
L’attuale cappella sorge nel punto in cui vi era l’antica “tettoia”; il luogo in cui Don Bosco trovò sistemazione per i ragazzi che necessitavano accoglienza. Si trattava all’epoca di un ampio stanzone per le lavandaie…
Don Bosco e Mamma Margherita la sera del 3 novembre 1846 prendevano stabile dimora in Casa Pinardi.
«Madre, le dissi un giorno, io dovrei andare ad abitare in Valdocco, ma a motivo delle persone che occupano quella casa non posso prendere meco altra persona che voi». Ella capì la forza delle mie parole e soggiunse tosto: «Se ti pare tal cosa piacere al Signore, io sono pronta a partire in sul momento». Presero poche cose. Era questa tutta la loro fortuna!
Una sera di maggio, un ragazzo bagnato e intirizzito, sui 15 anni, bussò alla porta della casa di don Bosco. «Sono orfano. Ho freddo e non so dove andare…». Mamma Margherita gli preparò un po’ di cena e gli disse: «Dormirai qui, caro. E rimarrai finché ne avrai bisogno. Don Bosco non ti manderà mai via». «Di poi» racconta don Bosco «fecegli un sermoncino sulla necessità del lavoro, della fedeltà e della religione». I Salesiani hanno affettuosamente visto in questo sermoncino di Mamma Margherita la prima «buona notte».
Nel cortile a fianco della Basilica di Maria Ausiliatrice
La seconda domenica di Quaresima, 15 marzo 1846, Don Bosco con i 300 ragazzi del suo Oratorio era stato licenziato dai fratelli Filippi. Si trovava nel loro prato (laggiù a sud-est, a 300 metri di qui). Guardava i suoi ragazzi, e non sapeva dove dare loro l’appuntamento per la domenica seguente: tutti l’avevano cacciato via. In sulla sera di quel giomo – scrisse – rimirai la moltitudine dei ragazzi che giocavano. Ero solo, sfinito di forze, la salute malandata. Ritiratomi in disparte, mi posi a passeggiare da solo e non riuscii a trattenere le lacrime: “Mio Dio ditemi quello che devo fare”.
In quel momento arrivò non un arcangelo, ma un ometto balbuziente, Pancrazio Soave. Gli domandò: “E vero che lei cerca un luogo perfare un laboratorio?”. “No. Io voglio fare un ‘oratorio”. “Non so che differenza ci sia, ad ogni modo il posto c’è. È del signor Pinardi, venga a vederlo”.
Don Bosco percorse in diagonale questi trecento metri (da sud-est a nordovest, percorrendo la via che allora si chiamava “Via della Giardiniera”) e si trovò davanti una casupola con pian terreno e primo piano. Pinardi gli indicò una tettoia-baracca dietro la casa. Eccola là, ancora oggi rannicchiata in fondo agli edifici: oscuro, piccolo ceppo da cui si è sviluppata tutta l’opera di Don Bosco.
Adesso c’è scritto “Cappella Pinardi”, ma allora era solo uno stanzone che serviva alle lavandaie della città come deposito dei cumuli di biancheria da lavare, che poi stendevano sui prati, come grandi festoni bianchi. Nelle immagini a fianco si vede la casa Pinardi in un attresco del pittore Crida. Diventerà il centro di tutta l’opera salesiana nel mondo.
LA CAPPELLA PINARDI
Il Signor Pinardi fece entrare Don Bosco sotto la tettoia per una porta posteriore (chiusa adesso dalla grande lapide di fondo). Disse: “E ciò che ci va per il suo laboratorio”. E Don Bosco: “Ma io voglio fare un oratorio, cioé una piccola chiesa dove portare a pregare i miei ragazzi”. Intanto si guardava in giro: era solo una povera tettoia, bassa, appoggiata al lato nord della casa Pinardi. Un muretto tutto intorno la trasformava in una specie di baracca o stanzone. Misurava m. 15 per 6. Don Bosco disse: “Troppo bassa, non mi serve”. Ma Pinardi: “Farò abbassare il pavimento di mezzo metro, farò il pavimento di legno, metterò porte e finestre. Ci tengo ad avere una chiesa“. Don Bosco pagò 300 lire per un anno: per lo stanzone-tettoia e la striscia di terra intorno dove far giocare i suoi ragazzi. Tornò di corsa ai suoi ragazzi e gridò: “Allegri! Abbiamo trovato l ‘oratorio! A Pasqua ci andremo: é là, in casa del Signor Pinardi!”.
Il Signor Pinardi fece entrare Don Bosco sotto la tettoia per una porta posteriore (chiusa adesso dalla grande lapide di fondo). Disse: “E ciò che ci va per il suo laboratorio”. E Don Bosco: “Ma io voglio fare un oratorio, cioé una piccola chiesa dove portare a pregare i miei ragazzi”. Intanto si guardava in giro: era solo una povera tettoia, bassa, appoggiata al lato nord della casa Pinardi. Un muretto tutto intorno la trasformava in una specie di baracca o stanzone. Misurava m. 15 per 6. Don Bosco disse: “Troppo bassa, non mi serve”. Ma Pinardi: “Farò abbassare il pavimento di mezzo metro, farò il pavimento di legno, metterò porte e finestre. Ci tengo ad avere una chiesa“. Don Bosco pagò 300 lire per un anno: per lo stanzone-tettoia e la striscia di terra intorno dove far giocare i suoi ragazzi. Tornò di corsa ai suoi ragazzi e gridò: “Allegri! Abbiamo trovato l ‘oratorio! A Pasqua ci andremo: é là, in casa del Signor Pinardi!”.
Il 12 aprile 1846 era Domenica di Pasqua. Tutte lecampane della città squillarono a festa. Alla tettoia non c’era nessuna campana, ma c’era il cuore di Don Bosco che chiamava tutti quei ragazzi, che arrivarono a centinaia. Qui di fianco si può vedere l’altare della Cappella Pinardi come è visibile oggi (con il dipinto del pittore Paolo Giovanni Crida). È dedicata al Cristo che risorge, per ricordare a tutti quella Domenica di Pasqua del 1846 in cui Don Bosco e i suoi ragazzi vi entrarono per la prima volta. Per Don Bosco quella piccola costruzione diventava il primo punto di riferimento stabile di tutta la sua opera. Intorno e dentro questa Cappella sono capitate tante cose che i Salesiani consideriamo il “tesoro” della loro memoria.
1846. Appoggiato al muro della cappella, mentre insegnava a un ragazzo a fare le operazioni di aritmetica, la prima domenica di luglio Don Bosco si sentì male: febbre alta, capogiri. Dovettero accompagnarlo fino alla stanza che la Marchesa di Barolo gli imprestava in via Cottolengo. Si capì subito che era cosa grave: un minimo sforzo gli provocava sbocchi di sangue. I polmoni erano colpiti in maniera gravissima, e presto fu in punto di morte. Si diffuse rapida tra i giovani la notizia tristissima: “Don Bosco muore”.
Alla cameretta dove Don Bosco agonizzava arrivavano gruppi di ragazzi spauriti. Avevano ancora gli abiti e la faccia sporchi dal lavoro. Piangevano, pregavano. Otto giorni don Bosco rimase tra la vita e la morte. Ci furono ragazzi che in quegli otto giorni, sotto il sole rovente, non bevvero acqua, per ottenere dal Cielo la grazia. Nel Santuario della Consolata, non lontano, i piccoli muratori si diedero il turno giorno e notte.C’era sempre qualcuno davanti alla Madonna, anche se gli occhi si chiudevano per il sonno. Stavano lì perché Don Bosco non doveva morire.
E la “grazia” venne, come dono della Madonna. La domenica di fine luglio, appoggiandosi ad un bastone per la grande debolezza (aveva 31 anni!) Don Bosco fece il tratto di strada che lo separava dal suo oratorio. I ragazzi gli corsero incontro, lo costrinsero a sedersi sopra un seggiolone, e lo portarono in trionfo fino alla cappella. Cantavano e piangevano, i piccoli amici di Don Bosco, e piangeva anche lui. Nel silenzio della cappella, dopo aver ringraziato il Signore, Don Bosco disse: «La mia vita la devo a voi. Ma siatene certi: d’ora innanzi la spenderò tutta per voi.»
Andò in convalescenza ai Becchi per alcuni mesi.Tornò il 3 novembre non più solo, ma accompagnato da sua Mamma Margherita: si sistemarono nelle tre stanze al primo piano, che in quei mesi Don Borel aveva affittato per loro.
Uscendo dalla Cappella Pinardi, si sfiora con il braccio destro la minuscola sacrestia. È il locale strettissimo in cui, nel 1853, Don Bosco collocò il primo laboratorio dei calzolai:due deschetti e quattro seggioline.Non ci stava di più.
Don Bosco non aspettò mai di avere i “locali adatti” per cominciare qualcosa. Starebbe ancora aspettando adesso! Don Bosco si sedette al deschetto e martellò una suola davanti a quattro ragazzini che lo guardavano con attenzione e curiosità. Dopo la dimostrazione l’improvvisato calzolaio disse poi ai suoi attenti ragazzi: “Adesso provate voi”.
Possiamo dire che iniziava così l’avventura delle centinaia e centinaia di Scuole Tecniche e Industriali, Centri di Addestramento Professionale , Centri di Formazione Professionale e di Scuole Agricole, che Don Bosco e i suoi Figli e Figlie, Salesiani e Figlie di Maria Ausliatrice, avrebbero costruito in seguito, con l’aiuto di tanti benefattori, in tutte le parti del mondo.
Migliaia di giovani, ragazzi e ragazze, hanno imparato e ancora oggi imparano (come raccomandava Don Bosco stesso) a diventare buoni cristiani e onesti cittadini.