Valdocco in festa con la spiritualità del dono e del servizio
In cammino verso il Sinodo 2018
Un “guazzabuglio cromatico” non solo per gli astrofili che aspettavano da tempo la Superluna blu e rossa, ma anche per tutti gli amici che si sono mobilitati per la festa in onore di Don Bosco, colorando con ragione, religione e amorevolezza i cortili, le chiese, le parrocchie e le strade. Qui don Bosco ha pregato i suoi figli di continuare la sua opera: l’affluenza registrata nei luoghi salesiani del Piemonte e Valle D’Aosta, e non solo, conferma che la sua intuizione sul metodo educativo preventivo – che vede nel peccato del giovane il vero nemico da combattere – continua ad essere viva nei cuori di moltissimi che si sono ricavati 5 minuti o una giornata intera da trascorrere laddove si respira il profumo del Santo dei Giovani.
Ecco un racconto attraverso le omelie in occasione della S. Messa e della Celebrazione per i Giovani del Movimento Giovanile Salesiano.
Omelia dell’Arcivescovo di Torino
in occasione della Celebrazione della Festa di Don Bosco
La S. Messa della Festa di San Giovanni Bosco delle ore 11.00 presso la Basilica di Maria Ausiliatrice di Torino è stata impreziosita dalla presenza di Mons. Cesare Nosiglia, Arcivescovo di Torino. Di seguito, l’omelia con la quale ha accolto i fedeli:
Cari amici,
la festa di san Giovanni Bosco di quest’anno 2018 è molto importante, perché ci introduce nel tempo della preparazione prossima al SINODO DEI GIOVANI, in programma per settembre. Di questo Sinodo abbiamo a lungo trattato nell’Assemblea diocesana del maggio-giugno scorso, il frutto della quale è stata la lettera pastorale «Maestro, dove abiti?».
DON BOSCO OFFRE agli educatori e ai giovani stessi un metodo concreto per evangelizzare il mondo giovanile, che è ancora valido e attuale oggi. Esso si basa sull’amore rivolto ad ogni giovane, accolto così come è e vive, senza pregiudizi o preconcetti, che allontanano il cuore e rendono sterile ogni tentativo di approccio e accompagnamento verso il Maestro divino.
IL PAPA A TORINO nel 2015 disse, proprio qui in questa basilica di Maria Ausiliatrice, che bisogna evangelizzare i giovani, educare a tempo pieno i giovani, a partire dai più fragili e abbandonati, proponendo uno stile educativo fatto di ragione, religione e amorevolezza, universalmente apprezzato come “sistema preventivo”. Si tratta di quella mitezza e tenerezza tanto forte di Don Bosco, che certamente egli aveva imparato da mamma Margherita.
Il Vangelo ci ha detto che noi adulti dobbiamo farci come bambini, se vogliamo entrare nel Regno dei cieli. Dobbiamo ASCOLTARE DI PIU’ E MEGLIO i giovani, non dando loro l’impressione di essere accomodanti solo per attirarne la simpatia e benevolenza. Tali atteggiamenti paternalistici ottengono il contrario di quello che pensiamo e allontanano i giovani, perché non prendono sul serio le loro ragioni e quei tipici atteggiamenti di indipendenza e autonomia che essi sentono e vivono come un loro diritto primario di libertà. Ogni ragazzo va accolto dunque così com’è, ascoltando i suoi appelli e cogliendone le necessità, riconoscendo e accompagnando la sua crescita spirituale e umana, in modo da promuoverne i talenti.
Vi amo perché siete giovani – diceva Don Bosco – e non perché siete bravi, intelligenti, educati, credenti… Per questo, LI CERCAVA NELLE CARCERI, PER LA STRADA, nei luoghi malfamati, dove questi ragazzacci – come li chiamavano – ne combinavano di tutti i colori (furti, bande di violenti…). Anche per noi una particolare ATTENZIONE VA RISERVATA A QUEI RAGAZZI DIFFICILI o “invisibili” a causa della nazionalità e della cultura, della malattia o di particolari condizioni di disabilità o disagio. L’educatore e l’animatore devono assumere la domanda di vita, spesso inespressa o implicita nel cuore di ogni ragazzo, anche quando si manifesta nel desiderio del divertimento, stimolando la sua creatività e intraprendenza. Essi devono avere un’ATTENZIONE PARTICOLARE AL PROBLEMA DELL’AFFETTIVITA’, nelle sue incertezze di identità e di dono, con proposte che promuovano l’amicizia tra ragazzo e ragazza nel rispetto di sé e dell’altro e nell’accettazione delle reciproche differenze, esigenze e attese, in vista della piena maturazione di sé nel dono verso l’altro. L’esperienza dell’amicizia e della vita di gruppo rappresentano una scuola che aiuta a formarsi una MENTALITA’ DI ACCOGLIENZA e di solidarietà. Questo fatto è oggi particolarmente importante, se teniamo conto della chiusura individualistica a cui sono spinti i ragazzi dalla RETE e dai NUOVI MEZZI TECNOLOGICI.
Insomma, ci ha ancora ricordato il Papa: dobbiamo educare a vivere e non a vivacchiare, ad andare controcorrente, ad attivare amicizie non autoreferenziali ma aperte a tutti, sincere e schiette, non interessate, disponibili al dono di sé per gli altri… Dobbiamo educare a vivere il vangelo SENZA SCONTI E COMPROMESSI, anche nelle scelte più difficili e radicali (come la castità, il sacrificio, il perdono…). Il punto decisivo della formazione, dunque, non è solo quello di saper organizzare bene le attività che si fanno con i ragazzi, ma quello di comunicare sinceramente il proprio cuore e amicizia con Gesù, mediante l’ESEMPIO DEL NOSTRO STILE DI VITA. In quanto discepoli, POSSIAMO DARE E RICEVERE AIUTO e sostegno anche dai ragazzi, poiché Dio ci parla e ci stimola attraverso di loro. Lo stare con il Signore, amandolo e cercandolo con sincerità di cuore, rappresenta la radice su cui si innesta ogni buon servizio di animazione e di annuncio.
Questa è oggi la frontiera piu’ avanzata del nostro impegno di educatori e animatori dei gruppi giovanili. Su questo compito, il nostro Sinodo dei giovani ha fatto emergere la grandissima DIFFICOLTA’ che tanti hanno ad annunciare il Signore e a testimoniarlo nel vissuto dei propri ambienti di vita, di lavoro, di studio e di tempo libero.
All’impegno di diversi giovani animatori dell’oratorio, capi e responsabili di associazioni e movimenti, non corrisponde un’uguale disponibilità per l’azione missionaria nella “città dell’uomo”. La COMUNICAZIONE DELLA FEDE è vissuta come un impegno da sviluppare dentro la comunità e non fuori di essa. E per “comunità” si pensa quasi esclusivamente alla propria parrocchia o associazione o movimento. Tutto ciò che viene proposto al di là delle mura di queste“cittadelle” è considerato superfluo o un’aggiunta faticosa, se non una perdita di tempo. Per cui, già a livello di unità pastorali, è difficile incontrarsi; tanto meno a livello diocesano. La “Chiesa in uscita”, di cui parla con insistenza Papa Francesco, è oggi la principale sfida che coinvolge le nostre parrocchie e ogni realtà ecclesiale – e in particolare proprio la pastorale giovanile.
L’ASSEMBLEA DIOCESANA e la mia LETTERA PASTORALE dello scorso anno hanno stimolato tutti i giovani a gettarsi con coraggio apostolico nel campo della missione, aprendo le porte del proprio cuore e impegno verso i coetanei, sia quelli delle parrocchie vicine, sia quelli che incontrano nelle iniziative diocesane e negli AMBIENTI DELLA LORO VITA, dall’università alla scuola, dal lavoro al tempo libero, al sociale… Non bisogna escludere da questo campo di azione gli AMBIENTI DI FRONTIERA, come i SUPERMERCATI e le varie movide disseminate nel territorio della diocesi, alcuni BAR o luoghi di ritrovo e la stessa strada, dove tanti ragazzi e giovani, come ai tempi di Don Bosco, passano la loro giornata e le serate. Don Bosco ANDAVA A CERCARE I GIOVANI anche più “lontani e invisibili” là dov’erano, perfino nelle carceri, e infondeva nel loro cuore un tale spirito missionario che a loro volta diventavano trascinatori degli amici per l’incontro con Gesù e il Vangelo. È giunto il tempo di fare altrettanto: annunciare il Vangelo della gioia e con gioia è il primo compito di ogni credente e della Chiesa, ci dice Papa Francesco. Occorre che i nostri giovani si chiedano allora con sincerità se veramente sono contenti di essere cristiani e di vivere da amici di Gesù e tra loro. Se sinceramente diranno di sì e avranno il coraggio di testimoniarlo a tutti, allora la loro gioia si raddoppierà e diventerà contagiosa per tutti.
ALCUNE SCELTE CONCRETE missionarie sono inoltre queste:
– favorire nei ragazzi e GIOVANI stessi l’assunzione di quest’impegno, perché siano PROMOTORI DI PROPOSTE ai loro coetanei, invitandoli all’oratorio o all’associazione, in determinate occasioni di incontro e di festa insieme;
– promuovere iniziative tra oratori e parrocchie della stessa unità pastorale per incontrarsi, conoscersi, e avviare
INIZIATIVE INSIEME SUL TERRITORIO;
– partecipare alle iniziative diocesane, che aprono i giovani a un’esperienza di Chiesa piena e necessaria, per viverla poi nel loro QUOTIDIANO impegno;
– favorire qualche uscita dei gruppi di ragazzi e giovani per impegni di SOLIDARIETA’ IN FAVORE DEI POVERI, vera via di promozione umana e sociale delle stesse persone dei giovani, oltre che di esperienza della vera gioia del Vangelo che nasce dal dono di sé per gli altri.
Ricordo, a questo proposito, l’appuntamento della prossima estate – dal 9 al 10 agosto a Torino – per l’incontro con tutti i giovani delle diocesi del Piemonte e Valle d’Aosta, che comprenderà anche la CONTEMPLAZIONE RAVVICINATA DELLA SINDONE e successivamente, dall’11 al 12, il pellegrinaggio a Roma per INCONTRARE PAPA FRANCESCO.
C’è infine un passo ulteriore, particolarmente necessario, che va intrapreso da parte delle nostre famiglie e comunità con i giovani: la CURA DELLA PROPOSTA VOCAZIONALE, che orienta la vita sulle vie di Dio e non solo sulle proprie. Don Bosco affermava che un ragazzo su tre ha la vocazione al sacerdozio o alla vita consacrata. Oggi, può sembrare utopistico tutto ciò; eppure è ancora vero, se quando vado nelle scuole di ogni ordine e grado, le domande più insistenti che mi fanno i ragazzi e giovani riguardano la mia vocazione: cosa che mi desta meraviglia, ma che in realtà corrisponde a quel desiderio forte dei giovani di trovare un senso più pieno e meno superficiale e precario alla propria vita.
La nostra PROSSIMA ASSEMBLEA DIOCESANA di giugno tratterà della VOCAZIONE e già, fin da adesso, prego san Giovanni Bosco perché ci aiuti a promuovere un cammino vocazionale sempre più fruttuoso nella nostra diocesi, grazie all’impegno corale delle famiglie e delle comunità, ma soprattutto grazie all’impegno responsabile dei giovani stessi. Amen.
Mons. Cesare Nosiglia, Arcivescovo di Torino
Omelia del Vicario del Rettor Maggiore
in occasione della Celebrazione per i Giovani del Movimento Giovanile Salesiano
La Solenne Concelebrazione serale per i giovani MGS – Movimento Giovanile Salesiano nella Basilica di Valdocco è stata presieduta da don Francesco Cereda, vicario del Rettor maggiore dei Salesiani con una speciale cornice musicale a cura del coro dell’Oratorio di Casale Monferrato. Don Cereda, si è soffermato ampiamente sul legame profondo che intercorre tra Sinodo dei Giovani e Don Bosco, invitando gli astanti alla generosità di donarsi agli altri. Qui di seguito, il video e il testo dell’omelia completa:
Carissimi Giovani del Movimento Giovanile Salesiano e Amici tutti,
Quest’anno la festa di don Bosco si colloca nel cammino di preparazione al Sinodo dei Vescovi , indetto da Papa Francesco per ottobre, che ha come tema “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”.
Con questo Sinodo la Chiesa tutta intende interrogarsi su come aiutare i giovani a scoprire e ad accogliere il dono delle chiamata di Dio all’amore e alla pienezza di vita in Gesù. Nello stesso tempo essa desidera interrogare i giovani su come comunicare oggi il vangelo, ossia su come fare a tutti la proposta di vivere l’esistenza umana come l’ha vissuta Gesù.
Ci ricorda il cammino verso il Sinodo la riproduzione della parte centrale del polittico del “discepolo amato”, che ai piedi della croce riceve da Gesù Maria come sua madre, a cui Gesù a sua volta affida il discepolo stesso. Giovanni, il discepolo amato, è l’icona di chi risponde alla chiamata di Gesù.
Le letture che abbiamo ascoltato ci aiutano a comprendere come fare il cammino al seguito di Gesù sui passi di Don Bosco; guardando a Don Bosco impariamo a essere discepoli di Gesù.
1. Il discernimento vocazionale
Nella prima lettura abbiamo ascoltato la narrazione della vocazione del giovane Geremia. Dio l’ha pensato quando ancora era nel grembo materno; lo ha costituito profeta delle nazioni, prima che nascesse. Tutti noi siamo stati pensati da Dio; egli su di noi ha un disegno che dobbiamo scoprire.
Geremia è timoroso di fronte a questa chiamata di Dio: “Ahimé, Signore. Ecco io non so parlare, perché sono giovane”. Nelle parole di Geremia ci sembra di sentire il dubbio di Maria all’annunciazione dell’angelo Gabriele: “Come è possibile questo? Io non conosco uomo” o la domanda di Giovannino nel sogno dei nove anni: “Chi siete voi che mi chiedete cose impossibili?”. Così conclude Geremia: “Il Signore stese la mano e mi toccò le labbra e mi disse: «Ecco, io metto le mie parole sulla tua bocca». Nulla è impossibile a Dio.
I giovani di oggi hanno paura di prendere decisioni definitive sulle prospettive della loro vita, di fare scelte per sempre. Per Giovanni Bosco sono stati decisivi gli anni trascorsi a Chieri dal 1831 al 1841. Sono gli anni più belli, ma anche gli anni del dubbio. Terminata la scuola superiore si domanda cosa fare e pensa di farsi frate francescano. In un sogno gli appare il convento dei francescani di Chieri e una voce che gli grida: “Tu cerchi la pace e qui pace non troverai”.
Giovanni Bosco non aveva una guida; scriverà nelle Memorie dell’Oratorio: “Oh, se allora avessi avuto una
guida che si fosse presa cura della mia vocazione! Sarebbe stato per me un grande tesoro, ma io quel tesoro non l’avevo. Avevo un buon confessore che pensava a farmi un buon cristiano, ma di vocazione non si volle mai mischiare”. Lo zio prete del suo amico Comollo gli dirà di fare una novena a Maria, all’altare della Madonna delle Grazie che si trova nel duomo di Chieri, al termine della quale gli consiglierà di entrare nel seminario di Chieri e che poi avrebbe avuto tempo per decidere.
Il discernimento vocazionale quindi va accompagnato dalla preghiera. E’ ciò che ci raccomanda anche il Rettor Maggiore nel messaggio al MGS: “Mi permetto di suggerirvi di aprire il vostro cuore e di lasciarvi sorprendere da Lui: Lasciate che entri nel profondo delle vostre vite. Non vi deluderà mai. Fate l’esperienza dell’incontro con Lui, e per quanto vi è possibile, pregate, entrate in dialogo con lui.
2. La necessità di una guida
Nella vita spirituale, ossia nella crescita come discepoli di Gesù, e soprattutto nel discernimento vocazionale circa la scelta del proprio stato di vita è necessaria una guida. I giovani hanno bisogno di figure autorevoli che si prendano cura di loro. Così come ci ha ricordato la seconda lettura tratta dalla prima lettera di Pietro, che si rivolge alle guide della comunità: “Prendetevi cura del gregge di Dio a voi affidato”.
Tutti i giovani, nessuno escluso, hanno bisogno di chi si pone al loro fianco, di chi li ascolti, di chi li accompagni, di chi cammini con loro; hanno bisogno di guide. Don Bosco è stato la guida di tanti giovani attraverso la Confessione, suscitando la loro confidenza, convocando numerosi educatori, con la creazione di ambienti ricchi di proposte stimolanti, con la parola appropriata per ciascuno: la parolina all’orecchio. Le tre biografie scritte da don Bosco a riguardo di Michele Magone, Domenico Savio e Francesco Besucco sono un esempio di come egli accompagnava ciascun giovane in modo personalizzato. Pietro nella sua lettera continua descrivendo come deve agire la guida nei confronti del gregge di Dio: “sorvegliandolo non perché costretti ma volentieri, come piace a Dio, non per vergognoso interesse, ma con animo generoso, non come padroni delle persone a voi affidate, ma facendovi modelli del gregge”.
Cerchiamo una guida affidabile; non possiamo crescere facilmente senza guida. E a nostra volta, come educatori e animatori del MGS, apprendiamo l’arte dell’ascolto e dell’accompagnamento dei ragazzi e delle ragazze e di altri giovani; impariamo ad essere guide di altri. Così faceva Giovanni Bosco a Chieri con l’amico Giona l’ebreo. Chi non fa l’esperienza di essere accompagnato non è capace di accompagnare.
3. La cultura del dono
Nel vangelo Gesù di fronte alla discussione di chi fosse il più grande, invita i discepoli a scegliere l’ultimo posto: “Chi vuol essere il più grande sia l’ultimo e il servo di tutti. Infatti chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve”.
La mentalità individualista e narcisista di oggi esalta l’affermazione di sé e l’autorealizzazione. Gesù ci invita al dono di noi stessi e al servizio. Pensate per esempio all’economia del dono e non all’economia centrata esclusivamente sul profitto. Il dono di sé è garanzia di felicità. Dice Gesù: “C’è più gioia nel dare che nel ricevere”. Noi abbiamo il pensiero di Cristo. Don Bosco educava i suoi giovani alla generosità e al servizio; egli li appassionava con i sogni missionari; li inviava ancora giovani in Patagonia; gli affidava responsabilità; li mandava a cura i colerosi. Egli chiavava salesiani quei giovani disposti a imitare la dolcezza di San Francesco di Sales e a fare esercizi di carità verso i ragazzi più bisognosi. Egli fondò la Congregazione salesiana con la scelta e la chiamata di 17 ragazzi. La spiritualità del dono e del servizio che infondeva nei suoi ragazzi si può sintetizzare nelle parole di
Domenico Savio “voglio far del bene ai miei compagni” o nelle parole di Zeffirino Namuncurà: Voglio far del bene alla mia gente”.
Le scelte riguardanti il nostro futuro e le decisioni importanti sulla nostra vita potranno essere maturate e non improvvisate, stabili e durature, soprattutto non avremo paura di fare scelte e di decidere, se ci saremo allenati nel non continuare a pensare solo a noi stessi, ai nostri interessi, alla nostra riuscita, ma se impareremo a crescere nel dono e nel servizio.
In questa festa invochiamo don Bosco perché ci sia modello nelle nostre scelte di vita e perché preghi per noi perché non abbiamo paura di fare scelte generose e coraggiose, secondo il disegno che Dio ha su ciascuno di noi.
don Francesco Cereda, Vicario del Rettor Maggiore